20 anni di Belpoggio
Una verticale di famiglia con cinque annate di Brunello di Montalcino DOCG Belpoggio in abbinamento a un pranzo stellato firmato il Silene.

Sono arrivata a Belpoggio per festeggiare un compleanno importante: vent’anni di Brunello e di famiglia, vent’anni attraversati a passo costante, con i filari a 350–400 metri, il vento che asciuga, il calcare e la conformazione del suolo a disegnare tannini e spina dorsale. Una cantina-boutique di 10 ettari (cinque a vigneto, il resto a oliveto), con la voce esatta del Sangiovese e l’orizzonte aperto verso la Val d’Orcia e il profilo dell’Amiata. Qui il vino nasce con gesti antichi e cantina moderna, 36 mesi in botte grande da 30 hl e la pazienza necessaria perché tutto vada al suo posto. Vent’anni raccontati con gratitudine e voglia di andare avanti.

Belpoggio è una storia dentro un’altra storia: quella dei Martellozzo, famiglia veneta che ha trasformato un’intuizione in progetto, portando la propria idea di eleganza da Valdobbiadene a Montalcino. Enrico ha scelto questo poggio nel 2005; Renata gli ha dato il passo della cura; Francesco Adami, amico ed enologo di fiducia, ha cucito addosso al Sangiovese un abito sartoriale di rigore e misura. Oggi la quarta generazione (Francesca, Giovanni, Paola) prosegue con la naturalezza di chi non gioca a imitare: “innovare senza tradire le origini”, mi dicono. E in questa doppia anima (Prosecco e Brunello, freschezza e profondità) c’è il senso di una famiglia che ha fatto del tempo il proprio maestro.

Il ventennale non poteva che celebrarsi a casa, in Bellaria, con un evento misurato e pieno: una verticale in cinque annate (2005, 2008, 2014, 2020 e l’anteprima 2021) che ho avuto il piacere di guidare con la famiglia e l’enologo: ogni vino affidato ad uno di loro, con tre aggettivi a definire l’annata. Una scelta semplice ed efficace: poche parole, tutte necessarie, come i vini fatti bene. E un pranzo stellato a cucire, piatto dopo piatto, la trama gustativa della giornata.
L’apertura è con l’annata 2005, la prima della tenuta: Adami la racconta con tre parole che sono già stile: “saggio, longevo, fedele”. L’annata arriva dopo un trittico estremo (2002 piovosa, 2003 torrida, 2004 generosa); le piogge di inizio settembre impongono misura, e il bicchiere restituisce equilibrio, acidità ben disegnata, tannino vellutato. È la voce classica del Brunello, quella che non urla e non seduce, ma conquista; un vin de garde che oggi profuma di frutta matura, spezie scure e una nota terrosa che sa di bosco pulito. A tavola, brioches di foglie e fiori con maionese all’olio evo: bocconi vegetali netti, quasi a ricordare che il Brunello non è solo carne e selvaggina; se la materia è sincera, l’abbinamento va d’accordo con la sua finezza.
Si passa al 2008, presentato da Giovanni: “riflessivo, affidabile, meditativo”. È l’annata che ha chiesto attenzione in vigna, raccolta tardiva e selettiva: meno potenza, più linea. In gioventù poteva sembrare riservata; oggi apre una profondità pacata, un’eleganza misurata che convince senza colpi di teatro. Qui arriva la battuta di vitella al coltello (per i vegetariani, una insalata di erbe e fiori): la dolcezza ferrosa della carne, condita appena, accoglie il tannino setoso del 2008; l’insalata, con la sua croccantezza aromatica, evidenzia la freschezza del sorso, ampliandone il registro floreale. È il momento in cui ti ricordi che un Brunello non deve “riempire” il piatto: deve dialogare.



La terza tappa è la più controvento: 2014, affidata all’enologo Mattia Meneghello e definita “determinata, tenace, autentica”. Annata difficile, piovosa, con tante aziende che scelsero di non produrre Brunello. A Belpoggio la posizione e le scelte agronomiche (vinificato solo il 50% del potenziale) hanno fatto la differenza: il vino è snello e luminoso, fresco e verticale, con quella trasparenza espressiva del Sangiovese che a molti mancava da tempo. Lo ritrovo perfetto con il risotto al tartufo bianco: il piatto è puro, privo di base di cipolla e vino; la grassezza del burro e la nobiltà aromatica del tartufo incontrano la trazione acida del 2014, e la bocca resta pulita. È una bellezza silenziosa, che non ti prende alla gola ma al polso, lentamente.
Francesca ha tra le mani la 2020: “empatica, generosa, amichevole”. Annata equilibrata, salvata dalle piogge giuste nei momenti giusti; un Brunello accogliente, disteso, armonioso. Qui l’abbinamento fa felici tutti: filetto di vitella con “falsa” caponata. Il 2020 non impone, accompagna: la succosità del sorso, il tannino gentile, la dolcezza salina delle verdure. È un Brunello che ti fa stare bene, senza perdere profondità.
Chiude l’anteprima 2021, raccontata da Paola: “inedita, giovane, sognatrice”. Le condizioni sono state favorevoli: piogge regolari in primavera, estate calda ma interrotta da rovesci a fine agosto. Equilibrio è la parola: gradazione, acidità, tannino in dialogo, maturazione omogenea, potenziale di invecchiamento importante. Qui l’assaggio promette energia, finezza e longevità, in scia alle annate 2016 e 2019. Il sorso, ancora teso, accende il brodo vegetale in tazza: un gesto quasi domestico, profumatissimo di erbe dagli orti; quell’idea di calore che, nel finale, trovo anche nel Monte Bianco di dessert: castagna, spezie d’autunno, memoria dolce e lunga.


Nel mezzo, tra un calice e l’altro, la famiglia. Il bello di questa verticale è stato ascoltare: Francesca con la bussola dei mercati e della narrazione, Giovanni tra cantina e numeri, Paola con gli occhi accesi sui progetti culturali, Enrico e Renata come radice affettuosa, Adami a ricordare che il Brunello «si fa in vigna e con il tempo»; e sullo sfondo il ponte con Bellussi, che spiega anche a chi beve bollicine perché la fretta non appartiene a questa famiglia. Una filosofia del tempo che non è posa, ma prassi: persino sul Prosecco, mi raccontano, hanno imparato a dare mesi dove tanti danno giorni. E sì, funziona.











