Baldovino 2024: miglior rosato d’Italia dal Gambero Rosso

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Il Cerasuolo d’Abruzzo DOC Baldovino 2024 di Tenuta i Fauri conquista l’Italia con famiglia, colline teatine e coerenza.

Tasted by Adua Villa

La famiglia Di Camillo

Ci sono luoghi che non si visitano soltanto. Si vivono, si respirano, si portano via con sé. Tenuta i Fauri è uno di questi: non solo una cantina, non solo una famiglia. È un microcosmo schietto, autentico, verace come la loro terra—l’Abruzzo—che qui non fa cornice ma sostanza. Oggi che il Gambero Rosso incorona il Cerasuolo d’Abruzzo Baldovino 2024 come miglior rosato d’Italia, quell’orgoglio ha il suono dei brindisi che partono dalle colline teatine e arrivano lontano, molto più lontano di quanto immagini quando ti siedi alla loro tavola.

Questo premio non fotografa soltanto un vino. Fotografa una linea del tempo. La famiglia Di Camillo—Valentina e Luigi, con papà Domenico dietro le quinte a tenere il ritmo della campagna—ha sempre portato in cantina la sua grammatica: poche parole, tutte necessarie. Il Cerasuolo, qui, non è mai stato un comprimario: è il vino di casa, quello che appare sui tavoli con la naturalezza del pane fresco. Per questo il riconoscimento non sorprende: consola. Conferma una rotta.

Luigi Di Camillo

Lo dice bene Luigi con una sincerità che non ha bisogno di aggettivi: “Questo premio speciale ci emoziona tantissimo, perché è un premio al vino che più di tutti è un pezzo di cuore. Il Cerasuolo è il vino che racconta le nostre origini, una famiglia di contadini prima di tutto, come ce ne sono tanti sulle nostre colline. I miei nonni erano viticoltori che conferivano le uve alle cooperative. Mio padre poi ha fatto il passo successivo: diventando vinificatore, e poi ancora un altro più grande 25 anni fa, arrivando finalmente ad imbottigliare il vino delle nostre uve. Da lì Tenuta i Fauri ha preso forma, non da un progetto studiato a tavolino, ma da una strada fatta di tentativi, di lavoro quotidiano e un po’ di incoscienza.

In queste righe c’è tutto: la continuità contadina, gli anni delle cooperative, il salto verso la vinificazione, poi l’imbottigliamento—e finalmente la consapevolezza di una voce propria. Il Cerasuolo, per loro, è sempre stato un compagno di tavola, un gesto di famiglia, una promessa mantenuta di vendemmia in vendemmia. E ancora Luigi, quando passa dalla biografia al carattere, ti spiega perché questo vino oggi sta davanti a tutti senza cambiare di una virgola ciò che è: “E in tutto questo percorso il Cerasuolo è stato il vino che ci ha dato coraggio, ci ha rassicurati nei momenti difficili, ha accompagnato i pranzi chiassosi di famiglia, è il vino di casa, il filo silenzioso che ha attraversato le generazioni, come un testimone. Anche quando rimaneva all’ombra del grande Montepulciano d’Abruzzo, come un fratello minore, nato dalle uve “meno degne”, con noi c’è sempre stato.”

C’è una dolcezza testarda in queste parole. Il Cerasuolo “fratello minore” che ha saputo crescere senza rinnegarsi, passando per stagioni complicate, epoche in cui si voleva “schiarirlo”, addomesticarne il carattere, smussare la voce. Invece la famiglia Di Camillo ha sostenuto l’identità. Ha continuato a farlo come si fanno le cose che contano: con costanza. Oggi che il premio fa rumore, l’eco arriva su un terreno già fertile.
La geografia aiuta a capire. Siamo nelle colline teatine, con la Maiella a fare da guardiana e il mare che respira vicino: due anime che qui non si scontrano, si tengono. È questa dualità a dare al Cerasuolo la sua figura: un rosso che si fa rosa, un frutto pieno che resta teso, una generosità che non perde slancio. Luigi lo dice nel modo più semplice—che spesso è il più giusto: “È il vino che meglio racconta l’Abruzzo, nella dualità di un Abruzzo montano e marino, dai forti contrasti tenuti assieme. Al momento è la vera possibilità dell’Abruzzo di raccontare chi è: arriva da un vitigno dalla grande personalità ma che con una macerazione breve ne esalta la freschezza, la godibilità e la schiettezza.”

Domenico Di Camillo

Ecco il punto: freschezza, godibilità, schiettezza. Il Cerasuolo d’Abruzzo DOC Baldovino 2024 di Tenuta i Fauri  non rincorre l’effetto: lo evita. Preferisce la luce al trucco, l’ampiezza del frutto all’enfasi dell’estratto, la spinta acida al compiacimento. È un vino che mette allegria non perché ammicchi, ma perché sta bene in tavola: con i crudi dell’Adriatico come con una pasta al pomodoro fatta come si deve, con una mozzarella appena arrivata come con un pollo arrosto della domenica. È un vino sociale, nel senso migliore del termine: capace di tenere insieme generazioni, palati, memorie diverse.
In controluce c’è la famiglia. Domenico—papà—è l’anima agricola, quella che sa leggere la vigna a occhio nudo. Luigi, enologo con fondamenta solide (anni di studio, laboratorio, confronto), oggi guida anche una generazione—Presidente dei Giovani Enologi Abruzzo e Molise—portando avanti l’idea che tecnica e misura possano camminare nella stessa direzione. Valentina è la voce e la visione: racconta l’azienda tutti i giorni, che è la cosa più difficile. Insieme, hanno tenuto il punto. È così che si arriva a giorni come questo.
E il brindisi, quando arriva, ha il tono giusto. Valentina e Luigi vogliono dedicare il premio all’Abruzzo intero, e la dedica ha la delicatezza delle cose che non si dicono per dovere ma per appartenenza: “Luigi e io vogliamo dedicare questo premio a tutto l’Abruzzo, e soprattutto a quei vignaioli abruzzesi che hanno resistito alla tentazione di stravolgere questo grande vino per inseguire strade più semplici e remunerative. A quei produttori che hanno insistito perché mantenesse la sua autenticità nella tradizione: una tradizione che non sa di noia e di polvere, ma di identità e di visione.”

Qui c’è un passaggio importante: resistere. Resistere a scorciatoie, a mode, alle lusinghe dei numeri quando chiedono compromessi. Resistere per restare. È un gesto che non fa notizia finché non arriva un premio, ma che costruisce le fondamenta prima ancora dei riconoscimenti. Perché—diciamolo—ci sono vini che esplodono in un paio d’anni e poi svaniscono; e ci sono vini che crescono. Il Cerasuolo d’Abruzzo DOC Baldovino 2024 di Tenuta i Fauri appartiene a questa seconda specie: si allarga, non si stira.

La chiusura, ancora, la prendo dalle loro parole—perché è il modo più giusto di mettere il punto: “Perché oggi posso dire che ne è valsa la pena. Oggi sappiamo che quel vino, così luminoso, così gioioso, così capace di mettere allegria, non era solo il nostro vino di famiglia: era ed è un grande vino, capace di rappresentare l’Abruzzo nel mondo. È la radice che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo.”
Scrivere oggi di Tenuta i Fauri per me non è un compito: è un ritorno. Ogni volta che rientro in Abruzzo, ogni volta che passo da loro, mi sembra di tornare a casa. Nelle vigne, nel modo in cui si apparecchia la tavola, nei silenzi tra una domanda e l’altra. Per questo questo premio lo sento giusto. Non come un traguardo, ma come un passaggio: una pagina che si aggiunge al libro, non la copertina.

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