L’Altra Toscana: la nuova frontiera del vino toscano.
Un evento che celebra la ricchezza nascosta dei territori toscani, raccontata attraverso vini autentici e la visione del Presidente Francesco Mazzei.
Tasted by Adua Villa

All’interno delle Anteprime di Toscana 2025, ha preso vita L’Altra Toscana. Un appuntamento ormai imprescindibile per giornalisti, buyer e operatori del settore vitivinicolo, curiosi di esplorare una Toscana meno raccontata, ma forse per questo ancora più affascinante.
L’evento, giunto alla sua quarta edizione, ha acceso i riflettori su tredici denominazioni, svelando il volto più autentico e variegato della produzione enologica regionale.
299 vini, 8 consorzi, 13 denominazioni: numeri che da soli raccontano un mosaico complesso e ricco di sfumature.
Maremma Toscana, Montecucco, Cortona, Chianti Rufina, Terre di Casole, Suvereto, Val di Cornia, Carmignano, tra le altre, sono state le protagoniste di una degustazione straordinaria, capace di restituire un’immagine fedele e dinamica di una Toscana in continua evoluzione.


I vini spaziavano dai bianchi freschi e minerali, ai rossi potenti e strutturati, ad una nuova frontiera di rosati: una gamma che valorizza tanto i vitigni autoctoni — come il Vermentino, il Ciliegiolo e l’Alicante — quanto le varietà internazionali reinterpretate secondo il carattere dei singoli territori.
L’evento non è stato solo un’occasione di assaggi, ma un vero laboratorio di idee, dove si è parlato di comunicazione, mercati internazionali, giovani consumatori e enoturismo come chiavi per il futuro.
Anche questo anno ho avuto modo di fare una chiacchierata con Francesco Mazzei, Presidente dell’Associazione L’Altra Toscana e del Consorzio tutela vini della Maremma Toscana, per un approfondimento sulle sfide e sulle ambizioni di questo progetto.
Presidente Mazzei, come nasce L’Altra Toscana?
“Questa edizione è la quarta,” esordisce Mazzei. “Riuniamo 8 consorzi e presentiamo 13 denominazioni con 299 vini. L’idea è semplice: raccontare quella Toscana meno nota, che forse incuriosisce di più, perché è meno prevedibile, è autentica, è… divertente.”
È stato difficile mettere insieme realtà tanto diverse?
“Assolutamente no,” sorride. “C’è grande volontà di unirsi per farsi vedere. Molti dei nostri consorzi sono piccole realtà che da sole avrebbero difficoltà a emergere. Uniti, invece, rappresentiamo circa il 40% della produzione toscana.”
In che modo la scelta delle denominazioni racconta una nuova Toscana?
“Abbiamo scelto territori che non rientrano nei circuiti più noti. C’è voglia di scoperta: dai bianchi a base Vermentino, agli autoctoni come Ciliegiolo e Alicante, fino ai grandi rossi di Sangiovese. Ogni zona ha una sua identità fortissima.”

Qual è stato il riscontro della stampa internazionale?
“Molto positivo. La curiosità verso questi vini è altissima, soprattutto nei mercati maturi. È un segnale forte che ci spinge a pensare a uno sviluppo di L’Altra Toscana anche fuori dall’Italia.”
Quali sono i mercati esteri più pronti per accogliere L’Altra Toscana?
“Svizzera e Germania sono target naturali: pubblico evoluto, appassionato, curioso. E naturalmente gli Stati Uniti: mercato enorme, con una presenza fortissima del brand Italia.”
Come pensa si possa esportare questo format?
“Partendo da eventi itineranti: piccole degustazioni mirate nelle principali città europee e americane, rivolte a stampa e operatori. Serve costruire familiarità, raccontare storie.”
Le nuove generazioni cambiano la percezione della qualità: come si adatta il mondo del vino?
“Oggi il pubblico giovane tende a fidarsi di chi comunica in modo chiaro e continuo. Non basta più la narrazione romantica della piccola produzione. Serve garantire standard, affidabilità.”
Il piccolo produttore può competere?
“Può farlo se entra in un sistema di cooperazione moderna. In Italia purtroppo la cultura della cooperazione è fragile, mentre in altri paesi è la chiave del successo.”
Secondo lei il problema è solo di risorse o anche di mentalità?
“Di entrambi. Servono fondi per comunicare, ma soprattutto un cambio culturale: smettere di vedere l’altro come concorrente e iniziare a vederlo come alleato.”
Il vino sta perdendo la sua funzione sociale?
“Un po’ sì. L’abbiamo caricato di troppa sacralità. Ma il suo posto naturale è la tavola, la convivialità, la semplicità della condivisione.”
Crede che il consumatore stia cambiando approccio?
“Sì, vediamo segnali di ritorno a una fruizione più semplice, meno impostata. Credo che il futuro sia in questa direzione: qualità sì, ma senza perdere l’anima.”
Qual è il potenziale dell’enoturismo toscano?
“Incredibile. La Toscana è la regione vitivinicola più bella del mondo. Ma dobbiamo investire su accoglienza, formazione, servizi.”
Un modello di riferimento?
“La Napa Valley: lì vendono oltre il 50% del vino direttamente in cantina. Anche noi possiamo farlo, non copiando, ma adattando il concetto alla nostra cultura.”
Cosa manca oggi?
“Infrastrutture nelle aziende, formazione di personale specializzato, promozione mirata. E una regia pubblica che aiuti il comparto.”
Oggi il comparto sembra attraversare un momento difficile: cosa pensa?
“È vero, c’è pessimismo. Ma spesso siamo noi produttori a peggiorare la situazione, amplificando le difficoltà. Invece dovremmo comunicare positività.”
Come si cambia questo approccio?
“Con consapevolezza. Abbiamo un patrimonio unico: dobbiamo raccontarlo meglio, con più fiducia e meno lamentele.”
Il fine dining in crisi incide sul vino?
“Molto poco. I ristoranti stellati sono vetrine importanti, ma i volumi reali di vendita si giocano altrove. Non possiamo basare la strategia su quella nicchia.”
Qual è allora la strategia vincente?
“Essere presenti nella quotidianità delle persone: a casa, nei ristoranti di territorio, nei wine bar. Riportare il vino tra la gente.”



La quarta edizione de L’Altra Toscana si chiude con una certezza: l’energia e la diversità dei suoi territori sono una risorsa straordinaria, ancora largamente inespressa.
Il futuro? È già in costruzione, con l’appuntamento fissato per febbraio 2026, e con la voglia di raccontare al mondo intero che il “vino toscano” non è mai stato tanto vivo, vario e sorprendente.
